IL RAGAZZO CHIAMATO SCIMMIA, intervista a Daniele del Zotto
Classe 1962, esperto di turismo antropologico e divulgatore della cultura del cibo italiano nel mondo. Daniele Del Zotto firma Il ragazzo chiamato scimmia, romanzo che vede al centro il tema della migrazione (e di conseguenza anche quello dell’immigrazione). Tratto da una storia vera, narra il viaggio di un giovane pakistano lungo la rotta balcanica fino in Italia. Ecco cosa ci ha raccontato l’autore!
Perché un esperto di viaggi e turismo ha scritto un libro sull’immigrazione?
Più che di immigrazione, parlerei di migrazione; e il viaggio è insito in essa. Da appassionato di viaggi, ho voluto ripercorrere le tappe della Rotta Balcanica toccate dai migranti clandestini. Il viaggio, naturalmente, non prevede le problematiche che queste persone affrontano ma fa prendere coscienza sulla storia che stiamo vivendo. Un viaggio del genere è riservato a turisti senza dubbio temerari e, per quanto organizzato bene, prevede dei rischi. Già arrivare in aereo al punto di partenza e muoversi con mezzi di trasporto più comodi e veloci, presuppone un certo spirito di adattamento.
Quali sono le tappe del viaggio?
Sono descritte in modo accurato nel libro: si parte dal Pakistan e si attraversa l’Iran, la Turchia, la Macedonia e la Serbia, passando per la Grecia. I paesaggi, le culture e le situazioni che si incontrano, fanno immergere il viaggiatore in profondi pensieri introspettivi. L’arrivo nei luoghi toccati dai migranti, siano essi città, confini o campi di accoglienza, lasciano un profondo segno negli animi di chi voglia cimentarsi in questa rischiosa esperienza. Qua, come a mio avviso in ogni viaggio, quello che conta non è la meta ma il percorso. Come dice Coelho, “il viaggio non è la stazione ma il treno”.
Quindi l’aspetto emozionale di una vacanza sta anche nel percorso di viaggio?
Più che di aspetto emozionale, parlerei di esperienza. Nel mio settore professionale, quello del turismo, sento sempre più spesso discutere su come rendere il viaggio un’esperienza. Quando scegliamo di partire, sappiamo già, più o meno, l’esperienza che vogliamo vivere: scegliamo l’albergo di lusso, il biglietto di classe turistica o decidiamo di avventurarci in un viaggio low cost. In ogni caso, siamo preparati e le nostre aspettative superano, quasi sempre, la situazione che vivremo. Viene, quasi in ogni caso, a mancare quello che, usando un inglesismo, si chiama effetto wow. Manca quasi sempre la vera, grande sorpresa: l’accadimento che scioccandoci, nel bene o nel male, lasci un profondo segno nella nostra anima e nella nostra memoria. Qual è il viaggio più emozionante che avete fatto? E perché? Quasi sempre le risposte sono banali e mettono in prima fila le comodità, le bellezze o uno o due accadimenti divertenti che, nel raccontarli, prendono più posto di viaggio di per sé. Ecco, un viaggio come quello sulla Rotta Balcanica, è un’esperienza che, per quanto programmata, diventa un lungo, unico effetto wow che non potrà mai smettere di essere raccontato. Chiaro che non è per tutti.
Veniamo al libro, Il ragazzo chiamato scimmia…
Il romanzo è tratto da una storia vera e narra il viaggio di un giovane migrante clandestino pakistano mettendo in risalto le difficoltà, gli stati d’animo e le motivazioni che spingono gli esseri umani ad affrontare un esodo, scontrandosi con situazioni che cambiano radicalmente la loro esistenza. È un libro ricco di emozioni ed accurate descrizioni di fatti realmente accaduti – che giornalmente si ripetono – ai quali si aggiungono i profondi pensieri del protagonista che dialoga con la sua anima per darsi forza e trovare il coraggio di continuare a vivere nonostante i dolorosi ricordi di rinuncia dei suoi affetti, dei suoi costumi e della sua cultura. È un libro che vuole trasmettere a chi lo legge, l’importanza di accettare, con vero spirito di accoglienza e fratellanza, chi lascia tutto e tutti per cercare di avere una vita migliore.
Come riassumi la trama in poche righe?
Dopo sei anni, il protagonista rivede la sua famiglia e il suo paese in Pakistan dove tutto sembra essersi fermato. In continuo confronto con sé stesso, dialoga con il suo altro io in uno sdoppiamento esistenziale – l’amico immaginario, l’angelo custode, la sua coscienza – che l’ha accompagnato nel suo percorso di cambiamento alla ricerca di quel miglioramento che è il diritto di ogni essere umano.
Nel primo capitolo, racconta della sua vita in un paese di una provincia del Punjab dove il tempo scorre “segnato dai giri della luna” e la vita non è altro che un’attesa della morte – come una parentesi sterile e priva di significato – concentrata solo sulla preservazione del corpo.
Nel secondo capitolo, ripercorre il viaggio e narra le difficoltà e le frustrazioni che i migranti clandestini affrontano in un percorso, perlopiù a piedi, sulle rotte clandestine governate dai trafficanti che agiscono, arricchendosi, sotto lo sguardo distratto di chi dovrebbe controllare. La Rotta Balcanica viene descritta in modo accurato come fosse un gioco o un viaggio d’avventura di temerari escursionisti.
Il terzo capitolo racconta il suo inaspettato arrivo in Italia (inizialmente voleva raggiungere la Germania), dell’accoglienza nel campo profughi, dell’assistenza ricevuta e del suo forte spirito di integrazione che, molte volte, viene represso non solo da chi accoglie ma anche e soprattutto da chi viene accolto.
Quindi il romanzo può diventare una sorta di guida turistica?
Una guida turistica per temerari, come ho già detto. E come in tutte le guide, trovano spazio le descrizioni degli aspetti culturali, sociali e religiosi che un viaggiatore trova durante il suo viaggio. Le guide servono anche a prepararci nella scelta della nostra “vacanza”, illustrandoci, prima della partenza, quello che troveremo e a volte, mettendoci in guardia.
Il ragazzo chiamato scimmia di Daniele Del Zotto è già disponibile su tutti gli store del Gruppo Feltrinelli.