Maria Chiara Gritti, le principesse e la loro fame d’amore
Maria Chiara Gritti torna in libreria questo mese con La principessa che voleva amare Narciso. Come uscire insieme dai labirinti del cuore (Sonzogno). In questa occasione, riproponiamo l’intervista fatta a Milano per l’uscita del libro precedente, La principessa che aveva fame d’amore (Sperling&Kupfer).
La prima cosa che ci tengo a chiederti è una riflessione sul linguaggio che hai scelto per il tuo racconto. Mi è piaciuta moltissimo l’idea di raccontare una favola invece di scrivere “l’ennesimo manuale di auto-aiuto”, ovvero il libro in cui prima o poi una donna inciampa, dopo un certo uomo o una certa delusione. Hai giocato molto con il tema della favola anche attraverso le tue scelte lessicali, ad esempio utilizzando i tempi verbali tipici di quella che è la nostra immaginazione sin da bambini. I bambini giocano al presente indicativo e all’imperfetto, dove il gioco “facciamo che io ero…” costituisce il primo esercizio di immedesimazione.
È anche per riportare le tue lettrici alla loro bambina interiore, che hai scelto di raccontare loro la favola di una principessa?
Assolutamente sì, e anzi, vi svelo una cosa del perché nasce questa favola. Tre anni fa divento mamma e inizio a leggere favole su favole a mio figlio e leggendole anche la mia bambina interiore si è risvegliata e mi sono ricordata di com’era bello quando mia mamma mi raccontava queste storie. E mi sono resa conto che in fondo mi sono scelta una professione che ha fatto si che non smettessi mai di ascoltare queste storie, solo che invece che essere dei personaggi inventati sono i miei pazienti e molto spesso ci diciamo che quando arrivano da me lo fanno perché in qualche modo non riescono più a proseguire la loro favola; cioè è successo qualcosa per cui la storia sta andando in un modo diverso e non riescono a essere le protagoniste della loro favola. E io penso che questo sia qualcosa che arriva in modo molto forte alle persone e spesso lo utilizzo in terapia.
Io chiedo di raccontarmi la loro vita come se fosse una favola e così facendo rievoco la bambina che poi si ritrova nel libro perché alla fine quando qualcosa non funziona nella favola, è sempre perché quella bimba ha qualcosa che le è mancato quindi sicuramente l’intento è di evocare le bambine o i bambini proprio con l’uso della favola.
Qual è la più grande paura che riscontri nelle donne con cui ti relazioni nel tuo lavoro (e che hanno ispirato il libro, ndr)?
La paura di essere abbandonate. Siccome non hanno mai avuto un legame sicuro, non hanno mai creato un legame in cui potevano rilassarsi e pensare «basta che io sia me stessa e mia mamma e mio papà mi amano e io sono tranquilla, loro non vanno via.» Tutta la loro vita, invece, è stata: «mi devo tenere legata alla persona, devo fare questo se no questa persona non mi ama.»
Quindi hanno quest’ansia che cresce e quando entrano in una relazione percepiscono ogni minima distanza dall’altro come un segnale di abbandono. Classico esempio è: «lui non mi risponde al messaggio per tre ore.. quindi basta. Vuol dire che ne ha già trovata un’altra, non gli interesso più, mi ha già abbandonato.» Quindi il mostro peggiore è proprio l’angoscia d’abbandono e non poter avere fiducia di poter essere davvero amate. Per questo è importante che loro abbiano fiducia in loro stesse per calmare questa angoscia abandonica, se no la portano sempre in tutte le relazioni.
Nel 1999, in un episodio di Sex & the City, Charlotte York si sentiva proporre da Carrie Bradshaw l’idea che forse non ci fosse nessun principe azzurro da trovare, e che forse il nostro principe azzurro siamo noi e ci salviamo da sole. Devo ammettere di avere la stessa sensazione, e di credere io stessa che il principe azzurro non sia quello che ti salva da te stessa. Prima devi salvarti tu, esattamente come scopre Arabella nella tua favola. Ma questo succede perchè sono cambiati i tempi, o perché siamo cambiate noi?
Arabella si salva da sola, nel senso che cresce e impara a conoscersi e ad amarsi. Non rinuncia però a cercare il compagno giusto. Anzi, non avrei mai concluso il libro con lei da sola e felice di esserlo. Non è una cosa in cui credo e non la trovo naturale. Siamo fatti per condividere e arricchirci di quello che solo una relazione può dare.
La differenza sta nello scegliere una relazione con consapevolezza di sè e di ciò che si sente come necessario. Senza pensare di poter forzare ciò che non è naturale o di dover “cambiare” l’altra persona.
La principessa che aveva fame d’amore di Maria Chiara Gritti (Sperling&Kupfer) è in libreria.